
Prof. Lyndon da Cruz
• MBBS, MA (Oxon), FRCOphth. (Lond.), PhD, FRANZCO (Aust.)
• Consultant Ophthalmic Surgeon and Head of Department, Vitreo-retinal Surgery - Moorfields Eye Hospital NHS foundation Trust
• Professor of Stem Cell and Retinal Transplantation Surgery - University College, London
Delineare il profilo scientifico e professionale del Prof. Lyndon da Cruz è veramente arduo. La difficoltà risiede nella capacità di riassumere in poche righe le straordinarie performance raggiunte da questo collega, un vero luminare dell’Oftalmologia mondiale. Dopo la sua formazione medica in Australia, dove ha svolto il dottorato di ricerca e ha conseguito la borsa di studio in chirurgia, ha continuato a perfezionarsi in Gran Bretagna, svolgendo il periodo di ricerca post-laurea e l’ulteriore formazione specialistica clinica e chirurgica sulla retina.
Al Moorfields Eye Hospital di Londra si è prospettata per Lyndon da Cruz l'opportunità di combinare la ricerca con la chirurgia retinica. Ha fondato un gruppo di ricerca sul trapianto di cellule staminali presso l'UCL, University College London dove, subito dopo, ha ottenuto la cattedra di insegnamento. Trovare nuove cure per le malattie della retina gravemente invalidanti è stato subito il suo obiettivo, che si è concretizzato nel coltivare in laboratorio una retina sana e trapiantarla in persone affette da malattie maculari, in particolare nella degenerazione maculare legata all'età. Per questo ambizioso progetto ha creato un gruppo di ricerca robotica al Kings College di Londra con l'obiettivo di sviluppare dispositivi automatizzati per la chirurgia retinica idonei ad impiantare cellule vascolari e fotorecettrici e ricostruire tessuto retino sano al posto di quello danneggiato. Per il futuro Lyndon si propone di continuare a lavorare nel campo della creazione della retina in laboratorio e nel suo trapianto negli stati patologici retinici in cui il tessuto è andato perduto. La sfida principale che impegnerà il nostro illustre interlocutore sarà il trapianto di fotorecettori con o senza la combinazione del RPE. Inutile elencare tutti i premi e le innumerevoli onorificenze ricevute da ogni parte del mondo, gli attestati di merito, gli incarichi svolti. Non aggiungo altro; vi lascio alla lettura dell’intera intervista per scoprire di più su questa personalità di vero prestigio, di primo piano, di indiscusso ed acclarato valore intellettuale.
D: Come prima domanda, Professor Lyndon da Cruz, vorrei che descrivesse brevemente il suo percorso professionale e accademico che l'ha portata ai suoi attuali ruoli di Consulente Chirurgo Oftalmico e Capo Dipartimento, Chirurgia Vitreo-Retinica al Moorfields Eye Hospital NHS foundation Trust, Professore di Chirurgia delle Cellule Staminali e dei Trapianti di Retina University College e Professore Onorario di Fisica Medica e Ingegneria Kings College di Londra.
R: Ho sempre desiderato occuparmi di medicina e in particolare combinarla con la ricerca scientifica. Questo desiderio è maturato nell’intento generale di aiutare le persone e dall’esempio ricevuto, durante gli studi di medicina, dal lavoro del mio professore di oftalmologia che più di tutti mi ha ispirato, facendomi comprendere come la ricerca fosse fondamentale per aiutare efficacemente le prospettive di salute di tanti pazienti. Ho anche visto che proprio nell'oftalmologia, la specialità che ho scelto, c'erano molte condizioni patologiche incurabili che portavano alla cecità, e che alcune di esse colpivano un numero molto elevato di persone. Per prepararmi a questa professione ho dovuto naturalmente completare il corso di medicina, specializzarmi in oftalmologia e acquisire esperienza nella ricerca tramite un dottorato di ricerca e una ricerca post-dottorato. Non esisteva un percorso standard per raggiungere questi obiettivi, pertanto ho messo insieme, man mano che procedevo negli studi, le esperienze necessarie più appropriate per acquisire le capacità in entrambi gli aspetti, clinici e di ricerca, e poter lavorare efficacemente su entrambi i fronti nel futuro. Sebbene sia stato un percorso difficile, con il necessario impegno, ho guadagnato la fiducia di grandi mentori ed insegnanti che mi hanno supportato durante tutta la mia formazione. Questa fase è probabilmente l’aspetto più critico; saper trovare un percorso efficace non è così standardizzato nel campo della medicina. Aver trovato questo percorso è stato molto interessante, stimolante in ogni aspetto. Ciò ha portato a straordinarie opportunità sia in Australia, dove ho svolto la mia formazione medica, il dottorato di ricerca e la borsa di studio in chirurgia retinica, che in Gran Bretagna, dove ho svolto il periodo di ricerca post-laurea e l’ulteriore formazione specialistica clinica e chirurgica sulla retina. Questa formazione diversificata mi ha permesso di incontrare una vasta gamma di professionisti nel campo della ricerca scientifica e della medicina da tutto il mondo. Aver trovato i giusti stimoli e le opportune occasioni nel mio percorso di formazione è stato un’opportunità, una grande fortuna, acquisendo una tale ricchezza di esperienze che, inizialmente, non avrei potuto immaginare. Dopo aver completato finalmente la mia formazione specialistica nella clinica e chirurgia retinica, nonché completato un dottorato di ricerca e una borsa di studio post-dottorato, mi sono ritrovato al Moorfields Eye Hospital di Londra dove si è prospettata evidente l'opportunità di combinare la ricerca con la chirurgia retinica. Ho colto questa opportunità lavorando nell’ambito della retina medica e come chirurgo retinico, fondando un gruppo di ricerca sul trapianto di cellule staminali presso l'UCL, dove subito dopo ho ottenuto la cattedra. La collaborazione con colleghi esperti specialisti nei campi della biologia sulle cellule staminali è stata fondamentale per lavorare alla creazione di nuovi trattamenti e trovare nuove cure per le malattie della retina gravemente invalidanti. Il nostro obiettivo era coltivare una retina sana in laboratorio e trapiantarla in persone affette da malattie maculari, in particolare nella degenerazione maculare legata all'età. Circa 10 anni fa mi sono reso conto che alcune delle sfide legate alla somministrazione chirurgica dei fotorecettori, che stavamo sviluppando con successo in laboratorio, non potevano essere affrontate dagli attuali chirurghi. Per questo motivo ho creato un gruppo di ricerca robotica al Kings College di Londra con lo scopo di sviluppare dispositivi automatizzati per la chirurgia retinica che aiutassero ad impiantare cellule vascolari e fotorecettrici e ricostruire la retina danneggiata.
D: Dal 1982 al 1999 ha svolto la Sua formazione tra l’Università Western in Australia e l’Università Oxford a Londra. Vuole raccontarci quella esperienza, i suoi studi, le sue ricerche di quegli anni, come hanno inciso sul Suo percorso professionale?
R: I miei anni presso l'Università dell'Australia Occidentale (UWA) sono stati davvero fondamentali per acquisire le qualifiche e l'esperienza necessarie per il mio lavoro nel campo della medicina e della ricerca. Ho completato la mia scuola di medicina presso l'UWA e successivamente la mia formazione di base in oftalmologia e la mia prima borsa di studio in chirurgia retinica. Ho inoltre completato il mio dottorato di ricerca presso l'UWA in terapia genica retinica. Tuttavia, il mio tempo all’Università di Oxford è stato effettivamente dedicato a conseguire una laurea in filosofia. A quel tempo avevo già finito medicina, ma sentivo che sarebbe stato un buon momento per estendere le mie conoscenze al di fuori della medicina e acquisire un’abilità nel pensiero critico che ho trovato utile per tutta la vita. Il mio periodo a Oxford è stato divertente e allo stesso tempo stimolante in termini di sfide intellettuali. Ha anche fornito l’opportunità di incontrare una vasta gamma di persone in diversi campi. Raccomanderei vivamente a chiunque lavori in medicina di occupare un po' del loro tempo all'inizio della propria carriera nel perseguire interessi al di fuori del campo medico; ciò permetterà di avere una prospettiva più ampia della vita e contatti con persone diverse, opportunità che si apprezzeranno durante il successivo percorso in campo medico.
D: I risultati per il trattamento con cellule staminali della maculopatia legata all’età sono stati pubblicati di recente su Nature Biotech. L’impianto di cellule dell’epitelio pigmentato retinico derivate da cellule staminali utilizzato per trattare la AMD umida, con la possibilità anche per la forma secca, ha avuto successo. Lo studio rappresenta una pietra miliare importante per il London Project to Cure Blindness, una partnership che Lei condivide con il professor Pete Coffey dell'University College di Londra. Vuole riferirci su questi studi e della reale possibilità di combattere e sconfiggere le maculopatie?
R: Il lavoro esposto nell’articolo sulla biotecnologia naturale è stato davvero un passo fondamentale per noi come gruppo di ricerca e, più in generale, per la conoscenza dell’argomento perché ha mostrato per la prima volta che far crescere parte della retina in laboratorio e trapiantarla, dopo la perdita della vista, era un obbiettivo possibile. In una certa misura è stata una sorpresa anche per noi riuscire a dimostrare tale possibilità già con il primo esperimento. La procedura era molto complessa, presentava tante difficili incognite da affrontare parallelamente avendo successo nella biologia in laboratorio, nel campo chirurgico e per la scelta del momento più opportuno ad intervenire nel processo evolutivo della malattia. In quell’articolo abbiamo riportato i risultati dei primi 2 pazienti trapiantati e degli altri 7 trapiantati subito dopo. Nel gruppo dei pazienti che presentavano emorragia massiva nell'AMD umida siamo stati in grado di avere un recupero visivo in tre su cinque pazienti, con trapianti di retina sana. Inoltre, nell’ambito di questo studio di fase 1, abbiamo tentato il trapianto nell’AMD secca che ha avuto meno successo in quanto è molto più difficile recuperare la perdita contemporanea di fotorecettori danneggiati e di RPE. Guardando indietro agli ultimi 20 anni, nonostante i successi, il viaggio è stato molto più difficile di quanto mi aspettassi. Ora ho capito che ci vorrà del tempo prima di comprendere pienamente come procedere, come scegliere il momento più opportuno per trapiantare l'RPE, i fotorecettori ed i vasi sanguigni, ora possibile grazie alla coltivazione in laboratorio in modo soddisfacente. Le nostre limitate conoscenze nella biologia retinica e nella patologia retinica sono parte del problema. Per ottenere trapianti di successo dobbiamo comprendere ogni aspetto della progressione delle malattie come l'AMD, conoscendo appieno la biologia ed il ruolo delle cellule del Miϋller nella retina esterna prima di poter trovare piena fiducia di ottenere risultati terapeutici nelle strategie di trapianto riproducibili.
D: Quali sono i suoi futuri obbiettivi di studio e ricerca? Come si svolge la sua giornata di lavoro, e come si compone il suo team di ricerca?
R: Il mio futuro obiettivo sarà continuare a lavorare nel campo della creazione della retina in laboratorio e nel suo trapianto negli stati patologici in cui il tessuto è andato perduto. Considerato il successo iniziale nel trapianto di traslazione dell’RPE, il mio team lavorerà per ottimizzare ogni fase della strategia di tale trapianto, il monostrato di RPE, lo strumento da utilizzare durante il trapianto, e la scelta del ricevente/stadio della malattia. Siamo fiduciosi riguardo al futuro sul trapianto del RPE visto i successi ottenuti inizialmente. La sfida principale nel prossimo futuro è riuscire nel compito più complesso: il trapianto di fotorecettori con o senza la combinazione del RPE. Abbiamo già le idee chiare su come si può raggiungere questo obiettivo, ma ancora il lavoro di ricerca di base da svolgere è tanto, nonché gli studi con grandi numeri sul trapianto negli animali prima di operare sugli esseri umani. Il gruppo di ricerca è suddiviso in tre aree di interesse in stretta collaborazione. C’è il gruppo di biologia che lavora per produrre costantemente RPE, fotorecettori e altre cellule della retina, l’endotelio vascolare e i periciti; il gruppo che si interessa di robotica che cerca di controllare i dispositivi per il rilascio di singole cellule all'interno della retina e per incannulare i piccoli vasi retinici, e infine il gruppo chirurgico che studia le malattie retiniche, che stabilisce e conferma quali sono i trapianti fattibili, potenzialmente terapeutici. Incontro ciascuno dei gruppi ogni settimana per controllare il loro allineamento agli obbiettivi prefissati e per consolidare i finanziamenti a tutti gli scienziati, i ricercatori clinici e per le attrezzature.
D: Come ultima domanda, nel ringraziarla per questa intervista anche a nome del Direttore di Oftalmologiadomani.it Antonello Rapisarda, vorrei che inviasse un messaggio agli oculisti italiani che sempre così numerosi leggono e, con assiduità, seguono la nostra Rivista. In particolare, vorrei che suggerisse qualche consiglio ai giovani che stanno per iniziare la strada così esaltante dello studio dell’Oftalmologia.
R: Penso che il mio consiglio a tutti i giovani oculisti che iniziano questo percorso sia quello di rendersi conto che la medicina offre una straordinaria varietà di opportunità e che è possibile approfittarne per avere una vita ricca di stimoli e molto piacevole. Molte persone sono scoraggiate dal tempo necessario per la preparazione professionale. Tutto il percorso è tuttavia molto interessante, sempre appagante. Semplicemente consiglio di non affrettarsi per arrivare al traguardo del lavoro clinico, ma di esplorare entrambe le opportunità che offre la medicina, compreso il mondo della ricerca, senza trascurare di dedicare un po’ di tempo fuori dal campo strettamente professionale; sarà di vero beneficio. Secondo la mia esperienza fare progressi in medicina è importante, ma in realtà è la varietà degli interessi anche fuori il campo medico che ti rende un individuo più radicato, aperto alle persone. La mia vita è stata ricca di tanti aspetti, di opportunità diverse; tutti questi aspetti diversi sono stati utili per la mia professione e per le persone, con indubbi vantaggi. Quindi esorto i giovani a pensare in modo più ampio al futuro, ad iniziare presto un percorso al di fuori degli schemi standard perché, sebbene più difficile, più impegnativo e più lungo, porterà ad una vita molto ricca, molto più varia. Questo è in definitiva lo scopo della vita, piuttosto che arrivare solamente ai traguardi della medicina il più rapidamente possibile! Grazie.
Q: As a first question, Professor Lyndon da Cruz, I would like you to briefly describe your professional and academic journey that has led you to your current roles as Consultant Ophthalmic Surgeon and Head of Department, Vitreo-retinal Surgery Moorfields Eye Hospital NHS foundation Trust, Professor of Stem Cell and Retinal Transplantation Surgery University College and Honorary Professor of Medical Physics and Engineering Kings College, London.
A: I have always wanted to do medicine and particularly to mix it with medical research. This desire came from a want to help people in general and from an inspiration during medical school where I saw the work of the professor of ophthalmology who instilled a sense that research was critical to helping more people in the future. I also saw that specifically within ophthalmology the specialty I chose that there were many blinding conditions that remained untreatable and some of them affected very large numbers of people. In order to prepare for this type of future I had to complete medicine of course, specialise in ophthalmology and gain experience in research via a PhD and postdoctoral research. There was no standard route in which to achieve this and so I put it together as I went along making sure that I was able to gain the appropriate experience in both parts so that I could work effectively in combination in the future. Although it was a difficult path, by showing commitment, I gained great mentors and teachers who supported me throughout that time. This is probably the most critical aspect of travelling a route which may not be so standard within medicine. Having chosen this route however it has been very interesting and stimulating throughout. It has led to amazing opportunities in both Australia where I did my medical training, PhD and surgical retinal fellowship as well as in Britain where I did my postgraduate research and further specialty training in Medical and Surgical Retina. This varied training allowed me to meet a wide range of people in research science and medicine from across the world. Choosing this route has been a real blessing and led to a richness of life that I could not have imagined. When I had finally completed my specialty training in retinal surgery and medical retina as well as completing a PhD and a post-doctoral fellowship I found myself at Moorfields Eye Hospital in London where the opportunity to combine research with retinal surgery became apparent. I took this opportunity to both stay and work on the clinical retinal service as a retinal surgeon and to establish a research group working in stem cell transplantation at UCL, where I eventually received my professorial chair. Collaboration with senior colleagues who were scientific specialists in the fields of stem cell biology was critical to working towards creating new treatments for blinding retinal diseases. Our aim was to grow healthy retina in the laboratory and transplant it into people suffering from human macular disease, especially age-related macular degeneration. About 10 years ago, I realised that some of the challenges of surgical delivery of photoreceptors, that we were successfully growing in the lab, could not be achieved by current human surgeons. As such I established a robotic research group at Kings College London with the aim of developing surgical robotic devices that would help deliver vascular and photoreceptor cells to reconstruct damaged retina.
Q: From 1982 to 1999 he studied at Western University in Australia and Oxford University in London. Would you like to tell us about that experience, your studies, your research of those years, how they affected your professional career?
A: My years at the University of Western Australia (UWA) were really critical for gaining the qualifications and experience necessary for my work in medicine and research. I completed my medical school at the UWA and subsequently my ophthalmology basic training as well as my first surgical retinal fellowship. I also completed my PhD at the UWA in retinal gene therapy. However, my time at Oxford University was actually spent gaining a degree in philosophy. At that time, I had already finished medicine but felt that it would be a good time to extend my knowledge outside of medicine and gain a skill in critical thinking that I have found useful throughout my life. My time at Oxford was both enjoyable and extending in terms of intellectual challenge. It also provided an opportunity to meet a wide range of people in different fields. I would fully recommend that anyone who works in medicine takes some time out early in their career to pursue something outside of the field of medicine as it will give them a broader perspective of life and contact with a different group of people that they will value throughout their subsequent life in medicine.
Q: The results for stem cell treatment of age-related maculopathy were recently published in Nature Biotech. The stem cell-derived retinal pigment epithelium cell implant used to treat wet AMD, with the possibility of dry AMD as well, has been successful. The study represents an important milestone for the London Project to Cure Blindness, a partnership you share with Professor Pete Coffey of University College London. Do you want to laugh at these studies and the real possibility of fighting and defeating maculopathy?
A: The work discussed in the nature biotech paper was really a seminal step both for us as a research group and more broadly in the field because it showed for the first time that growing part of the retina in the laboratory and transplanting it after vision had been lost with the aim of restoring vision was possible. To some extent it was a surprise that we were able to show it with the first trial as it was such a complex task and required so many things to align successfully both in terms of biology in the laboratory, surgery and the right moment within the disease process. In that paper we reported the 1st 2 patients that we had transplanted, and we have gone on to transplant a further 7 patients. In the group of patients with sudden massive haemorrhage in wet AMD we were able to show successful visual recovery in three out of five patients with healthy transplants. Also, within this phase 1 trial, we explored transplantation in dry AMD, which was less successful as I think this is a much harder task with damaged photo-receptors as well as RPE loss to contend with. Looking back over the past 20 years it has taken, and despite the successes, I think the journey has been much more difficult than I anticipated. I know now that it will take some time before we fully understand the best way and the best time to transplant the RPE, photoreceptors and blood vessels, which we can now grow consistently in the laboratory. Our limited understanding of retinal biology and human pathology is part of the problem and in order to have a successful transplantation programme we need to understand every aspect of the progression of diseases such as AMD and fully understand the biology of the complex milleu in the outer retina before we can be confident of reproducible and therapeutic transplant strategies.
Q: What are your future study and research objectives? How does your workday unfold, and how is your research team structured?
A: My future aim is to continue to work in the field of creating retina in the laboratory and transplanting it into disease states where retinal tissue has been lost. Given the early success in RPE translation transplantation the team will work at optimising each component of that transplantation strategy meaning the RPE monolayer, the transplantation tool and the choice of recipient / disease. We feel confident about the future of RPE transplantation as we have had early success already. The main challenge that I set for myself in the final part of my research life is to begin the more complex task of photoreceptor transplantation with or without combination with RPE. We already have clear ideas of how we would want to achieve this but there is still some basic research work to carry out as well as large animal studies in terms of transplantation before we can take it into humans. The research team is split into three areas with a lot of collaboration. They are the biology group - working to consistently produce RPE, photoreceptor and other retinal cells, and vascular endothelium and pericytes; the robotic group looking to control robotic devices for single cell delivery within the retina and to canulate small retinal vessels; and the surgical group looking at human diseases where we can establish proof of principle trials to confirm whether the transplants are feasible and potentially therapeutic. I meet with each of the groups every week to confirm that they are all aligned to the same purpose and to consolidate funding for all of the scientists, clinical research fellows and equipment.
Q: As a final question, in thanking you for this interview also on behalf of the Director of Oftalmologiadomani.it Antonello Rapisarda, I would like you to send a message to the many Italian ophthalmologists who regularly read and closely follow our Journal. In particular, could you offer some advice to young professionals who are about to embark on the exciting path of studying Ophthalmology?
A: I think my advice to all young ophthalmologists who are setting out is to realise that medicine offers an amazing variety of opportunities and that you can combine many of them for a very rich stimulating and enjoyable life. Many people are daunted by the length of time it might take to prepare for this type of life but all the way along the journey it has been interesting and fulfilling so I would just say do not rush to get to the end point of a clinical job but explore both opportunities within medicine including research and also consider taking some time out of medicine as this does not hinder. In my experience you will progress in medicine but in fact the variety makes you a more grounded individual and open to people and interests outside of medicine. My life has been very blessed with so many different aspects and opportunities and I think they're available to more people then those that take advantage of this. So I would urge you to think more broadly about the future and to start out early on a different pathway to the standard one because, although more difficult, more challenging and longer, it leads to a much richer and varied life. This is ultimately what life is about rather than getting to the end of medicine as quickly as possible! Thank you.