LE INTERVISTE DI OFTALMOLOGIA DOMANI

a cura di



Amedeo Lucente
Oculista Libero Professionista

Con affiliazione sempre più convinta e partecipazione sempre più solidale un crescente numero di colleghi leggono e, con assiduità, seguono Oftalmologia Domani.

Il target della Rivista è sempre stato la divulgazione, offrire nuovi aggiornamenti, suscitare utili confronti, evidenziare argomenti controversi con il contributo di professionisti che più di altri hanno approfondito le tematiche in discussione.

Credo che negli anni questi obbiettivi siano stati raggiunti, e che il prestigio della Rivista sia ormai riconosciuto.

La direzione editoriale inizialmente pensata e indicata da Costantino Bianchi, indiscusso protagonista della divulgazione scientifica oftalmologica in Italia, viene ancora una volta percorsa, confermata e, con convinzione, condivisa.

Con uno sguardo verso il panorama oftalmologico internazionale la Rivista si è aperta a nuovi orizzonti scientifici attraverso il proficuo colloquio con molti apprezzati colleghi, universalmente riconosciuti come leader.

Lo squarcio da poco aperto nel mondo delle altre specialità mediche, che presentano campi di interesse comune, contribuisce a rendere la Rivista ancora più accattivante, ancora più completa.

Questi ampi orizzonti sono percorribili ed esplorabili grazie alla lungimiranza culturale della direzione della Rivista che ha appoggiato e, con condivisione, avallato questi fecondi percorsi interdisciplinari.

Altrettanto lusinghieri e di largo interesse sono i contatti che la Rivista sta intessendo con il mondo istituzionale, verso il quale è sempre tanto difficile rapportarsi.

I punti di forza della Rivista sono stati e restano tuttavia gli articoli ed il focus su “argomenti caldi”. Tanti colleghi inviano il loro contributo che con soddisfazione pubblichiamo, sicuri di rendere un servizio efficace all’interscambio di idee ed opinioni utili ai nostri lettori.

Il giornalismo scientifico è attività tanto ardua quanto gratificante. Oltre a diffondere e promuovere approfondimenti su specifiche tematiche, il suo più elevato intento è la discussione di condotte medico-chirurgiche che risultino infine efficacemente condivise a favore della salute dei nostri pazienti.

La Redazione di Oftalmologia Domani attende i vostri contributi ed è sempre aperta alle vostre richieste con sincera e favorevole accoglienza.

Buona lettura.


Prof. Marco Mura
Professore Ordinario e Preside nel Dipartimento di Oftalmologia Arcispedale Sant'Anna, Azienda Ospedaliero - Universitaria di Ferrara

D: Prima della sua nomina a Professore Ordinario e Preside nel Dipartimento di Oftalmologia dell'Università di Ferrara, ha ricoperto numerosi incarichi come Professore Associato nell'Università di Amsterdam, al King Khaled Eye Specialist Hospital in Arabia Saudita e al Wilmer Eye Institute della Johns Hopkins University di Baltimora. Vuole brevemente riferire ai nostri lettori e ai tanti giovani che si affacciano con fiducia al mondo dell’Oftalmologia queste sue importanti esperienze? Quale spinta ne ha tratto nel campo della ricerca? Quale insegnamento nell’attività clinica di tutti i giorni? L’Italia è oggi finalmente diventata una meta ambita dai giovani oftalmologi stranieri per eventuali fellowship?

R: Ogni ambiente, pur avendo caratteristiche uniche, mi ha offerto l'opportunità di confrontarmi con le eccellenze del settore, di apprendere tecniche avanzate e di sviluppare una rete internazionale di collaborazioni che si è rivelata fondamentale per il mio sviluppo professionale. In particolare, il periodo all'Università di Amsterdam, sotto la guida del Prof. De Smet prima e successivamente nel ruolo di Direttore, mi ha posto per la prima volta davanti alla grossa sfida di dirigere un’Unità Operativa, trovandomi non più solamente a gestire pazienti, ma anche a coordinare il lavoro e le attività dei colleghi. Quell’incarico ha sicuramente avuto un ruolo cardine nel conferirmi quella visibilità internazionale che mi ha permesso di diventare Professore Associato al Wilmer Eye Institute della Johns Hopkins University e direttore al King Khaled Eye Specialist Hospital in Arabia Saudita. Entrambi questi centri rappresentano un riferimento globale per l’Oftalmologia, in cui la gestione clinica del paziente va di pari passo con l'innovazione scientifica e con l’applicazione delle tecnologie più avanzate. Per quanto riguarda il ruolo dell’Italia come meta per le fellowship, credo che oggi il nostro paese abbia davvero tutte le carte in regola per attrarre giovani oftalmologi da tutto il mondo. L'Italia ha una tradizione di grande prestigio nell'Oftalmologia e una comunità scientifica ricca e vivace: le opportunità di ricerca sono in continua crescita, grazie anche a nuove collaborazioni internazionali e a un forte impegno delle Università Italiane, tra cui spiccano istituzioni di altissimo livello.

D: La ricerca è il campo che più specificatamente caratterizza l’attività professionale universitaria. In Italia la ricerca è principalmente finanziata dallo Stato. Negli Stati Uniti e in altri Stati è essenzialmente supportata da enti privati. Quali sono le differenze fondamentali tra questi tipi di finanziamenti? Quali i vantaggi e i limiti di ciascuno? La limitazione dei fondi statali costituisce spesso un ostacolo, ma garantisce maggiore libertà nella ricerca. A contrario, i fondi privati spesso molto generosi, spingono verso obbiettivi prefissati che non sempre sono in sintonia con lo spirito della ricerca, che presuppone applicazioni e studi senza limiti di sorta. Questi due aspetti possono trovare un terreno di conciliazione? Esiste una via di mezzo, un possibile compromesso?

R: La distinzione tra finanziamenti pubblici e privati nella ricerca è cruciale per comprendere le dinamiche che guidano la ricerca scientifica a livello globale. Come giustamente accennato, in Italia, come in molti paesi europei, la ricerca scientifica è principalmente finanziata attraverso fondi provenienti da enti governativi come il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca o dall’Unione Europea. Questi fondi sono tipicamente assegnati tramite bandi pubblici. Se da una parte questo comporta un processo di selezione competitivo che premia le istituzioni o i progetti più meritevoli, dall’altra il processo burocratico si accompagna a procedure lunghe e complesse, con un inevitabile aumento del carico di lavoro e rallentamento dei tempi della ricerca. I fondi privati, siano essi provenienti da aziende, fondazioni o investitori, tendono ad essere di più rapido e facile utilizzo. L’altro lato della medaglia è il rischio di favorire linee di ricerca che possano generare ritorni economici nel breve periodo, come nuove terapie o dispositivi medici, a discapito di ricerche più speculative o di lungo periodo, che potrebbero non garantire un risultato immediato. L’ideale sarebbe trovare un terreno di conciliazione che possa unire i vantaggi di questi due modelli, come ad esempio partnership pubblico-privato in cui lo Stato finanzia la ricerca di base, mentre la successiva ricerca applicata e la commercializzazione di nuove scoperte vengono sostenute dal settore privato.

D: Alcuni obbiettivi in campo sanitario si raggiungono solo con la cooperazione e la collaborazione tra più strutture. Se pensiamo ai grandi Clinical Trials questo aspetto appare molto evidente. La sinergia tra Università e IRCCS, Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, potrebbe costituire un volano di crescita per studi e ricerche, non solo di carattere epidemiologico. Tuttavia questa collaborazione stenta pienamente a manifestarsi. Qual è il suo punto di vista a tal proposito, e cosa manca alla ricerca italiana ed europea per tenere pienamente testa a quella d’oltreoceano e a quella cinese sempre più emergente?

R: La collaborazione multicentrica tra istituzioni diverse è fondamentale per il progresso della ricerca scientifica, ma in Italia e in Europa questa sinergia stenta a decollare pienamente. Le principali difficoltà sono la burocrazia, la frammentazione delle risorse e delle strutture, nonché la mancanza di una visione comune tra il mondo accademico e quello clinico. Le università, più orientate alla ricerca di base, e gli ospedali e gli IRCCS, focalizzati sulla ricerca applicata, spesso non riescono a connettersi efficacemente, limitando il potenziale delle collaborazioni. Per competere con le potenze globali come gli Stati Uniti e la Cina, l'Europa dovrebbe aumentare gli investimenti nella ricerca, promuovere una maggiore integrazione tra ricerca accademica e clinica, e creare un ecosistema più collaborativo che coinvolga anche il settore privato. Incentivare la ricerca traslazionale e ridurre la frammentazione tra le istituzioni potrebbe accelerare i progressi e colmare il gap con le altre realtà globali.

D: Nel suo percorso professionale ha privilegiato in special modo le patologie vitreo-retiniche conseguendo eccellenti risultati. Tuttavia non ha affatto trascurato la chirurgia del segmento anteriore, quella pediatrica e la neonatale, sempre così ostiche e, in genere, poco amate. Molti colleghi oftalmologi sono riconosciuti leader in singoli settori nei quali risultano particolarmente esperti. Un Full Professor ordinario in Oftalmologia e Direttore di una Scuola di Specializzazione ha tuttavia necessità, istituzionalmente, di acquisire multiple esperienze, padroneggiare disinvoltamente, a tutto tondo, la complessità della chirurgia oftalmologica. Il contrasto tra le ultraspecializzazioni e l’insegnamento universitario, con respiro necessariamente globale ed universale, fa emergere questa dicotomia in modo a volte eclatante. Da questo punto di vista la formazione professionale universitaria appare estremamente più in salita ma, allo stesso tempo, del tutto più completa. Qual è il suo pensiero a riguardo?

R: Sono d’accordo che la posizione di Professore Ordinario e Direttore di una Scuola di Specializzazione richieda una visione globale della di disciplina. La chirurgia oculistica è vasta e complessa, e sebbene l'ultraspecializzazione sia fondamentale per la cura di patologie altamente specifiche, per poter insegnare la clinica e la chirurgia è necessario padroneggiare tutti gli aspetti della disciplina, dal segmento anteriore alla chirurgia vitreo-retinica, dalla chirurgia del glaucoma a quella pediatrica. Nonostante la retina chirurgica rimanga il mio campo di interesse primario, ritengo che la preparazione multidisciplinare sia fondamentale non solo per l’aspetto dell’insegnamento, ma anche per poter eseguire gli interventi di chirurgia vitreo-retinica più avanzati. Per i casi chirurgici più complessi, come ad esempio quelli pediatrici o traumatici, è infatti necessario avere competenze chirurgiche a 360°.

D: Lei è tra i più giovani ordinari di Oftalmologia in Italia. Gli aspetti burocratici spesso portano via tempo prezioso alla ricerca e alla didattica. La burocrazia è annoverata come uno dei principali ostacoli al pieno sviluppo della nostra nazione; non è tuttavia assente anche nei paesi di lingua anglosassone. Come si risolve questa problematica? L’informatizzazione può essere una risposta valida? E l’intelligenza artificiale potrà essere di supporto, una svolta per snellire le pratiche burocratiche sempre così opprimenti?

R: La burocrazia è una dei principali problemi per la ricerca e la didattica in Italia, consumando tempo prezioso che potrebbe essere dedicato a progetti di ricerca, innovazione e formazione. Questo ostacolo purtroppo non riguarda solo il nostro paese: anche nei paesi anglosassoni, pur essendo generalmente più efficienti, le strutture accademiche e sanitarie devono fare i conti con una certa dose di regolamentazioni che rallentano i processi. Tra le risposte più promettenti vi sono l'informatizzazione e l’intelligenza artificiale. Digitalizzare i processi amministrativi può notevolmente ridurre il carico burocratico e velocizzare le operazioni. L’uso di piattaforme centralizzate e di sistemi digitali per la gestione delle risorse e dei progetti potrebbe migliorare l'efficienza e la trasparenza. L'intelligenza artificiale ha il potenziale per automatizzare molte attività ripetitive e complesse, come la gestione dei documenti, l'elaborazione delle richieste o l'analisi dei dati. Il futuro della burocrazia in ambito accademico e sanitario potrebbe quindi risiedere in un'integrazione tra digitalizzazione e intelligenza artificiale, un passo decisivo verso una gestione più snella e orientata all'innovazione.

D: Ringraziandola per la sua disponibilità anche a nome del Direttore Antonello Rapisarda che tanto ha perorato questa intervista, vorrei che inviasse un messaggio alle nuove generazioni che, non senza difficoltà e incertezze, si stanno affacciando nel mondo così variegato dell’Oftalmologia.

R: Ringrazio sinceramente per questa intervista e per l’opportunità di rivolgermi alle nuove generazioni di oftalmologi. A tutti i giovani che si affacciano a questa disciplina affascinante e in continua evoluzione, vorrei dire che l'Oftalmologia è una delle branche più stimolanti della medicina, ricca di opportunità sia cliniche che scientifiche. Il consiglio che sento di dare è quello di non perdere mai la curiosità e la voglia di imparare. La nostra professione richiede un continuo aggiornamento. Non abbiate paura di seguire le vostre inclinazioni, che siano la specializzazione in una sotto-branca o l’esplorazione di diverse aree della chirurgia, perché è nella varietà e nell'approfondimento che si trova la vera crescita professionale. L’Oftalmologia è un campo che offre enormi soddisfazioni, non solo dal punto di vista professionale, ma anche umano, perché abbiamo l’opportunità di restituire la vista, migliorare la qualità della vita e fare la differenza nella vita dei nostri pazienti.

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