Prof. Mario Stirpe
Presidente IRCCS Fondazione G.B. Bietti per lo Studio e la Ricerca in Oftalmologia
D: Inizio con un argomento a Lei particolarmente caro, forse il più sentito, che La vede sempre impegnato in un progresso ancora in itinere con tante aspettative aperte per la ricerca nel mondo dell’Oftalmologia: la Fondazione Giovan Battista Bietti. Nata nel 1984 per l’iniziativa di alcuni allievi del grande Maestro con l’intento di raccoglierne l’eredità non solo accademica ma anche umana, Lei ne è il prestigioso Presidente. Per perseguire questo suo progetto non ha esitato a lasciare il gruppo di ricerca negli Stati Uniti che per primo al mondo aveva elaborato ed attuato la vitrectomia, organizzando a Roma nel 1980 il primo Congresso mondiale su tale nuova straordinaria metodica chirurgica. Vuole raccontarci, da principale e speciale protagonista, la nascita e sviluppo di questa lodevole e peculiare iniziativa scientifica e le motivazioni delle sue coraggiose scelte?
R: L’idea di una Fondazione è nata da una scelta di vita che mi ha portato a rinunciare al percorso universitario già intrapreso. A maggior comprensione vorrei ricordare gli episodi che hanno condizionato la mia scelta.
Benché i miei maggior interessi nella oftalmologia fossero rivolti alla chirurgia della retina un giorno fui chiamato dal Professore Benedetto Strampelli. Era estremamente fiero dei successi ottenuti con l’intervento di odontocheratoprotesi e voleva che io lo apprendessi. Pur ammirato dalla tecnica di quello che io definivo il più geniale artigiano dell’oftalmologia, mi resi subito conto che quell’intervento, che prevedeva tra l’altro l’asportazione di un dente con il peridonzio, non l’avrei mai praticato. Mi colpì tuttavia il fatto che lui prima di impiantare il dente, precedentemente preparato con l’inserzione di un lenticolo, rimoveva abbondantemente il vitreo. Accompagnando il Prof. Bietti avevo precedentemente assistito ad un dibattito veramente sopra le righe tra Schepens e Kasner, che veniva definito dai presenti un oscuro personaggio proveniente dal gruppo creato da Ed Norton. Schepens propugnava il “Noli me tangere” del vitreo. Memore degli ammonimenti di Schepens chiesi a Strampelli se una rimozione così abbondante del vitreo non comportasse complicazioni secondarie. Mi rispose sorridendo che le complicazioni ci sarebbero state se lui non avesse attuato questa manovra.
Intanto Kasner, che avevo seguito con interesse dopo la storica discussione, pubblicò il primo successo al mondo con l’esecuzione di una vitrectomia open sky praticata su un occhio affetto da amiloidosi. Seguendo questo esempio iniziai la rimozione open sky del vitreo nei casi complicati da vitreo retinopatia proliferativa. Qualche raro successo mi incoraggiava a cercare un perfezionamento della tecnica.
Intanto secondo la prassi che generalmente seguiva, il Prof. Bietti mi chiamò per programmare il mio percorso universitario. Non nascose la sua delusione di fronte al mio disinteresse. Mi ero caparbiamente appassionato alla prospettiva che sembrava aprirsi nella chirurgia della retina, ed un percorso come era allora previsto nell’università mi avrebbe distolto dai miei interessi.
Era l’inizio del 1972 quando il Prof. Bietti fu invitato negli Stati Uniti a tenere la Proctor lecture. Norton invitò il Professore a visitare un moderno Istituto che stava edificando in Miami: Il Bascom Palmer. Robert Machemer era il figlio di un’oculistica tedesco scomparso nell’ultima guerra, amico del Prof. Bietti. Era stato accolto da Norton dopo essere stato rifiutato da Schepens. Saputo della presenza del Prof. Bietti chiese di incontrarlo illustrandogli le prospettive della vitrectomia closed eye condotte con l’aiuto di un brillante tecnico Jean Marie Parel. A Robert era stato concesso l’accesso ad un semplice garage e lì aveva costituito il suo laboratorio. Tornando in sede il Prof. Bietti mi raccontò quanto aveva visto concludendo che lui era dubbioso sulla tecnica, ma che se vi fosse stato un successo questo sarebbe avvenuto con la loro tecnica e non con la mia. Le mie perplessità vennero subito superate da una lettera proveniente dal Bascom Palmer. Machemer scriveva al Prof. Bietti invitandomi a far parte del gruppo di Miami sottolineando che ogni idea era la benvenuta.
Ho ripensato spesso al ruolo del Prof. Bietti ed alla lungimiranza di un grande Maestro che pur dubbioso sulle possibilità di una tecnica ne favoriva l’approfondimento.
A Miami ero entrato in un gruppo compatto e pieno di entusiasmo per le prospettive che si aprivano. Vi facevano parte Machemer, che conduceva il gruppo e poi Michels, con il quale avevo stretto una fraterna amicizia e Blankenship, Blumenkranz, Clarkson e altri eccellenti colleghi che progressivamente si avvicinavano al gruppo. Le nostre conoscenze erano arricchite dalla presenza di personaggi come Norton, Gass e Green.
Il 4 marzo 1977 fui chiamato in Italia per una notizia tristissima: il Prof. Bietti era deceduto al Cairo durante l’organizzazione mondiale della Sanità. Alcuni impegni assunti mi portavano ad alternare periodi di permanenza tra Roma e Miami. Avevo chiesto alla Società Italiana di Oftalmologia una commemorazione per il Prof. Bietti come mi sembrava meritasse. Al diniego decisi con Machemer di organizzare in Roma il 1° congresso internazionale sulla vitrectomia. Machemer avrebbe tenuto la prima lettura in memoria del Prof. Bietti.
I congressisti arrivarono da ogni parte del mondo e molti retinologi avvicinarono per la prima volta la tecnica. Lo stesso Relia Zivojinovic che aveva seguito il metodo di Scott, mi raccontava che dopo il congresso al quale aveva assistito come uditore si era immediatamente cimentato nella rimozione di proliferazioni vitreo retiniche, creando poi un suo metodo.
Nei primi anni ’80 dopo una proposta molto interessante di Robert Machemer, che aveva intanto assunto la direzione del dipartimento di oftalmologia alla Duke University, compresi che il ruolo propostomi mi avrebbe portato stabilmente negli Stati Uniti. Era giunto il momento di stabilizzare la mia vita. Non avevo dimenticato il mio Maestro scomparso prematuramente e questo mi ha portato ad iniziare un lavoro per creare una Fondazione dedicata all’oftalmologia in suo nome.
In Italia le Fondazioni erano allora guardate con molto sospetto; Andreotti aveva sostenuto che nascessero per sottrarre fondi al fisco. Superando i pregiudizi varai la Fondazione ed ottenni rapidamente il riconoscimento giuridico da parte della Presidenza della Repubblica. Rappresentavamo allora uno dei pochi esempi di una Fondazione in medicina.
Si associò subito a me il Prof. Bucci che aveva viceversa seguito la carriera universitaria.
Io mi sarei definitivamente occupato della Fondazione e lui attraverso l’università avrebbe aperto ai miei collaboratori una strada per le pubblicazioni scientifiche.
D: Nel giugno del 1993 la Sua udienza alla Camera dei Deputati ha cambiato il corso della storia nei trapianti di cornea in Italia. Dopo soli due mesi da quella Sua “arringa” la normativa relativa all’innesto del tessuto corneale venne stralciata dagli altri trapianti di organo. Vuole ripercorrere per i nostri lettori quei momenti così cruciali ed esaltanti per la storia della nostra Oftalmologia?
R: Rientrato in Italia mi ero reso protagonista di numerose polemiche con le università e con le Istituzioni. La stampa era costantemente dalla mia parte. Venne allora a trovarmi Giovanni Rama che aveva costituito in Mestre la prima banca degli occhi ed aveva cercato diplomaticamente di risolvere una questione che interessava strettamente l’oculistica italiana: da circa 15 anni una legge che includeva l’innesto di cornea nella legge generale dei trapianti vietava in pratica il trapianto di cornea.
Avevo difeso pubblicamente attraverso una trasmissione radiofonica che si ripeteva ogni mattina, Giancarlo Falcinelli sottoposto ad una indagine della magistratura per avere effettuato qualche trapianto. Per Giovanni Rama rappresentavo l’uomo adatto a rompere il cerchio negativo che si era creato attorno al trapianto di cornea.
Mi recai da Franco Marini, ministro del lavoro, fortemente radicato nei principi di giustizia. Il relatore della legge dei trapianti faceva parte della sua corrente e lui era fiducioso che comprendesse. Non fu così e Franco allora decise di provocare un'audizione alla camera, sicuro delle mie reazioni.
Mi recai alla camera con Giovanni Rama. Chiedemmo che prima dell’inizio del dibattimento venisse audita una relazione presentata dal cultore della materia. Inutile che io dica come Giovanni aveva preparato la sua relazione. Mentre lui parlava io osservavo l’aula: qualcuno leggeva il giornale qualcuno si era addirittura addormentato. Ultimata la relazione il Presidente si alzò e congratulandosi freddamente con Giovanni chiarì che non vi sarebbe stato alcun cambiamento; un dibattito sarebbe stato inutile. Giovanni tornò a sedersi vicino a me con le lacrime agli occhi. Preso da un accesso di rabbia mi alzai urlando che nel Paese che avevo frequentato un uomo come Giovanni sarebbe stato tenuto in ben altra considerazione. Il totale disinteresse era reso evidente da chi leggeva durante la relazione e da chi si era addirittura addormentato. Invitai i presenti ad affacciarsi fuori dall’aula; avrebbero trovato tutte le testate giornalistiche che avevo condotto con me ed alle quali avrei denunciato il comportamento dei politici italiani; questo al di là del disagio dei pazienti costretti a recarsi fuori dal Paese per risolvere il loro problema.
Le cose cambiarono repentinamente e molti deputati si alzarono dichiarando che loro non sapevano. A quel punto il relatore venne a sedersi vicino a me dicendo: "Professore io credo che lei abbia vinto la sua battaglia e da questo momento mi offro per lavorare con lei".
Tornai da Franco Marini: il più era stato fatto; tuttavia le elezioni erano alle porte ed era necessario ottenere tempestivamente l’approvazione da parte delle commissioni parlamentari responsabili. Per Franco Marini non fu difficile. Rimaneva un ostacolo, il regolamento, che avrebbe potuto portare ad un allungamento pregiudizievole dei tempi. Franco Marini superò l’ostacolo proponendo la liberalizzazione.
Tutto questo mi creò più tardi qualche disagio. Promulgata la legge, con la liberalizzazione iniziarono le importazioni dall’estero ed un giudice mi accusò per aver sostenuto una legge che secondo lui aveva aperto la strada ad attività malavitose.
Ero stanco perché tutto quanto facevo non mi esimeva da una camera operatoria veramente pesante e dai miei impegni internazionali. Accettai tuttavia un lungo dibattito televisivo che vide i conduttori inizialmente ostili schierarsi apertamente dalla mia parte. Durante il dibattito portai ad esempio la Banca degli Occhi di Rama. La creazione di Banche degli Occhi nel Paese avrebbe regolato la distribuzione del tessuto. Diedi l’esempio creando con l’allora Assessore alla Sanità Cosentino la Banca degli Occhi del Lazio che fu allocata presso il San
Giovanni.
D: Lo sviluppo della Fondazione Giovan Battista Bietti non poteva trovare terreno più favorevole di progressione del riconoscimento da parte del Ministero della Salute a “Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico” IRCCS, unico soggetto in Italia per la disciplina di “Oftalmologia”. Un altro importante passo in avanti è stato la partnership con l’Azienda Ospedaliera di rilievo nazionale ad alta specializzazione San Giovanni Addolorata, realizzando così l’unione tra un’azienda pubblica ed i laboratori privati di ricerca della Fondazione. Questi disegni strategici, che molto hanno inciso nello sviluppo scientifico della nostra Oftalmologia, vedono Lei sempre protagonista, promulgatore ed ispiratore. Vuole partecipare ai lettori della nostra Rivista il cammino che ha portato a questi prestigiosi risultati? Raccontarci la tanta fatica che, insieme ai Suoi collaboratori, ha dovuto ostinatamente affrontare?
R: Intanto eravamo arrivati alla fine degli anni ’90 ed erano caduti i pregiudizi verso le Fondazioni. Istituzioni pubbliche soprattutto universitarie scoprivano i vantaggi offerti dalla Istituzione di una Fondazione.
La Fondazione Bietti che aveva rappresentato a lungo un unicum rientrava in un gruppo destinato ad allargarsi. Intanto la fondazione si era arricchita con una solida alleanza con la Fondazione Roma, Presieduta dal Prof. Emmanuele Emanuele prodigo di aiuti e consigli.
Iniziai allora a coltivare l’idea della costituzione di un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) che potesse dare ai giovani, seriamente dedicati alla materia, le stesse opportunità che avevo avuto negli Stati Uniti. Questo è avvenuto per me sorprendentemente nel 2005 con motivazione da parte della Conferenza Stato-Regioni più per l’opera svolta che per la presenza di una struttura (in quel momento ero ospitato). Credo di essere stato nella storia degli IRCCS l’unico esempio di un affidamento con motivazione di stima per il lavoro svolto. Era comunque sottolineato che avrei dovuto assumere l’impegno per l’organizzazione di un Istituto che avrebbe accolto l’unico IRCCS monotematico in campo nazionale.
La site-visit triennale avrebbe accertato che questo fosse avvenuto.
L’ospitalità ottenuta prima presso il Fatebenefratelli e poi presso il San Giovanni era stata tollerata ma doveva rappresentare una soluzione transitoria. Nonostante gli impegni presi: Consiglio Superiore di Sanità; Istituto Superiore di Sanità; presidenza di qualche commissione Ministeriale e soprattutto una camera operatoria molto impegnativa, ho lavorato a lungo portando a termine con l’aiuto della Fondazione Roma, dell’IRCCS Neuromed entrato a far parte della nostra assemblea e dei miei collaboratori, la strutturazione di un Istituto definito un gioiello da parte di chiunque l’abbia visitato.
Avevo cosi onorato l’impegno preso con la conferenza Stato Regioni e costituita una solida base per il futuro.
D: Facendo una rapida carrellata sicuramente Lei ha il più alto numero di onorificenze, nazionali ed internazionali, tra gli Oftalmologi non solo italiani: un Guest of Honor dell’American Academy of Ophthalmology, un Gold Lion della Penn State University, e ben sei Medaglie d’Oro ricevute da Università, Istituti e Associazioni nazionali ed estere. Il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana ricevuto nel 2006, la più elevata onorificenza attribuita solo a pochissime personalità direttamente dal Presidente della Repubblica, se si esclude il Cavalierato decorato di Gran Cordone riservato ai Capi di Stato, è forse il riconoscimento più sentito, e conferma il Suo attaccamento alla Nazione. Non certo solo per questi prestigiosissimi titoli Lei è unanimemente considerato “Intellettuale Aristocratico dell’Oftalmologia Italiana”, un vero vanto per tutti gli oculisti italiani. Ma come ha fatto ad essere sempre “Eccellente” in tutto? I giovani vedono questi traguardi come mete irraggiungibili. È proprio così?
R: Chi è impegnato pienamente per il raggiungimento di una finalità che rappresenti un simbolo che onori un padre o un maestro e che possa creare opportunità ai più meritevoli non pensa generalmente ad accumulare onorificenze. Oltre tutto qualcuna di queste come la Medaglia d’Oro al merito della Sanità e la Croce al Merito attribuite “Motu Proprio” mi sono giunte in maniera tanto inaspettata da non comprendere subito di cosa si trattasse.
Vi è certamente riconoscenza e rispetto per chi ha creduto di attribuirle.
Arrivando al cuore della vostra domanda vorrei dire ai più giovani che fortunatamente la media degli Italiani è dotata di una buona intelligenza. Questa dote non è tuttavia sufficiente al raggiungimento di uno scopo se mancano volontà, perseveranza e disponibilità al sacrificio.
D: Non volendo approfittare oltre per ultimo, non per importanza, Le chiedo cosa pensa delle vicende, tristi e poco edificanti, che sta passando l’Oftalmologia italiana. È un travaglio che ha coinvolto più o meno direttamente tutti, e la nostra immagine ha perso quel prestigio di cui andavamo tanto fieri. Si potrà mai rimediare? Ritorneremo di nuovo uniti nella concordia come sempre è stato voluto ed auspicato dai padri dell’Oftalmologia italiana?
R: Che dire della Società Italiana? Quello che sta avvenendo è talmente al di fuori della mia mentalità che mi rimane difficile qualsiasi interpretazione. Ho avuto nella mia vita incontri con personaggi che non avrebbero mai concepito di anteporre i propri interessi a quelli della comunità.
Vorrei ricordare solo un episodio: una sera Robert Machemer mi invita a cena, ed ancora giovane, mi dice che vuole lasciare la direzione dell’istituto. Gli domando il perché e lui mi risponde che si era accorto di non avere più idee nuove (e ne aveva tante). Insisto per dissuaderlo e gli faccio notare che qualsiasi persona fosse venuta avrebbe comunque avvertito il peso della sua personalità. La risposta: "Se mi accorgerò di questo vuol dire che andrò via".
Lo stesso personaggio che quando varavo la Fondazione mi dava un viatico: se due persone in un ambiente che dovrebbe essere protetto litigano, non domandarti da che parte è la ragione e allontanale entrambe perché saranno nocive all’ambiente.
Ho ripensato a queste determinazioni quando un personaggio della nostra Sanità per il quale nutro molta stima mi diceva che l’oftalmologia italiana porta il triste primato della litigiosità.
Al di là di ogni considerazione bisognerebbe riflettere su quale esempio si sta dando alle nuove generazioni.