Giacomo Maria Bacci1, Paolo Nucci2, Roberto Caputo1
1 SOC Oftalmologia Pediatrica, AOU Meyer IRCCS, Firenze
2 Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche, Università degli Studi di Milano

Le patologie rare oculari: verso una nuova era?

Abstract: Le patologie rare oculari stanno conoscendo un periodo particolarmente florido di novità nel campo della diagnostica genetica e, soprattutto, in ambito di potenziali trattamenti fino a pochi anni fa non immaginabili. L’obiettivo di questo articolo è di sottolineare le peculiarità che stanno portando il mondo della oftalmologia genetica all’attenzione del grande pubblico cercando di dare un indirizzo per i clinici che approcciano queste complesse patologie, ancora in larga parte sconosciute nella loro eziopatogenesi e nei meccanismi molecolari che ne determinano le manifestazioni cliniche.
Verrà presentata una panoramica degli aspetti da considerare nella valutazione delle distrofie retiniche ereditarie con speciale attenzione alla casistica pediatrica, da sempre la più complessa ma anche la più idonea ad essere sottoposta a trattamenti di patologie che riconoscono nella evolutività una delle caratteristiche principali e che, se trattate tardivamente o in fase molto avanzata, possono drasticamente ridurre la suscettibilità ai miglioramenti funzionali attesi con i nuovi approcci terapeutici.
Infine verrà fatta una veloce presentazione delle principali terapie innovative delle quali oggi si sente molto parlare ma di cui è altrettanto difficile avere una idea chiara in quanto, nella maggior parte dei casi, sono ancora in via di sviluppo all’interno di trial clinici in fasi più o meno avanzate di sviluppo.

Keywords: distrofie retiniche ereditarie, terapia genica, terapie cellulari, oftalmologia genetica.

Introduzione

Le malattie rare oculari sono, da sempre, un terreno fertile per quei colleghi che si dedicano all’osservazione minuziosa dei singoli dettagli clinici. Grazie alla loro passione e dedizione, alcuni tra i più grandi clinici dell’Ottocento e del Novecento sono stati in grado di descrivere aspetti e caratteristiche cliniche con ogni dovizia di particolari. Si è poi scoperta la correlazione tra tali sindromi e precisi quadri molecolari corrispondenti. Ancora oggi riconosciamo il loro contributo, denominando quelle patologie con il nome dei loro primi osservatori, come succede per la malattia di Stargardt, l’Amaurosi Congenita di Leber o la maculopatia di Best, solo per citarne alcune.

La severità clinica di tali patologie è da sempre ben nota, in quanto patologie responsabili di gravi deficit visivi, spesso bilaterali e precoci, che conducono solitamente ad un quadro di profonda ipovisione con conseguenze di forte impatto sulla qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie. Proprio la complessità alla base di queste patologie le ha rese un terreno complicato ed avaro di soddisfazioni per i colleghi che si trovano ad affrontare tali condizioni.

Considerazioni generali

Di fronte una malattia rara, oltre all’aspetto diagnostico, una delle prime complessità è la gestione dello stato emotivo del paziente e della sua famiglia fino da quando pianifichiamo un percorso diagnostico che probabilmente non permetterà alcuna soluzione di cura. Quanto appena descritto rappresenta un quadro sconfortante, ma reale, di quello che, fino a pochi anni fa, era il mondo delle malattie rare e l’oculistica non ne era purtroppo esente. Trattandosi di patologie estremamente complesse, la “semplice” definizione clinica è oggi insufficiente a rendere ragione della enorme variabilità di presentazione di queste forme patologiche, spesso anche all’interno della stessa famiglia: da ciò è intuitivo che l’apporto della branca di genetica medica è stato un requisito essenziale per la comprensione di quadri clinici nei quali non è sempre possibile riconoscere la “firma” del gene responsabile.

Perché l’oculistica?

La branca di oculistica è da sempre contraddistinta da un elevato utilizzo di risorse tecnologiche di avanguardia e, specie negli ultimi anni, le possibilità aperte dai dispositivi di imaging in vivo permettono una definizione ultrastrutturale impensabile fino a solo 20 anni fa: basta pensare ai cambiamenti portati dall’avvento della tecnologia OCT nella gestione clinica dei nostri pazienti o la digitalizzazione delle immagini del fondo oculare con la possibilità di una elaborazione informatica che rendono tali esami a volte superiori alla sola oftalmoscopia diretta o indiretta.
Proprio a tale riguardo, in questi anni, stiamo assistendo ad una vera e propria evoluzione verso la telemedicina in quanto la tecnologia rende sempre più semplice la condivisione di dati e le conseguenti opinioni cliniche tra specialisti ed iper-specialisti di settore: il beneficio principale è una facilitazione del percorso diagnostico e terapeutico, senza contare i risvolti sulla ricerca clinica ed il vantaggio di poter evitare l’invio di pazienti tra i vari centri per una valutazione obiettiva diretta.
È storia recente, ed ormai conosciuta anche dal grande pubblico, che una forma di Amaurosi Congenita di Leber, legata al gene RPE65, può essere oggi trattata mediante terapia genica: grazie alla somministrazione sottoretinica di un vettore virale contenente la copia funzionante del gene, tale copia può essere integrata nel DNA della cellula ospite ripristinandone la funzione.
Apparentemente fantascientifico, tale approccio innovativo ha richiesto oltre 10 anni per la sua realizzazione.
Il miglioramento clinico indotto dalla terapia è stato così evidente, anche negli studi di fase 2 e 3, da far si che l’iter autorizzativo ottenesse un consenso quasi all’unanimità da parte di organismi regolatori estremamente severi quali la FDA (Food and Drug Administration) americana e la EMA (European Medical Agency) europea.

Questo strumento terapeutico oggi è utilizzato con estrema soddisfazione da parte di clinici e famiglie in pazienti che devono essere accuratamente selezionati, dato che l’esperienza clinica sta confermando i dati ottenuti durante la fase sperimentale.

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