Il "caffè sospeso" dell’Oftalmologia Italiana

di A. Rapisarda

A cosa serve una società scientifica? Tra i primi, basilari obiettivi, favorire la promozione della scienza, creare una rete di conoscenze fra gli associati che sviluppi lo spirito di appartenenza, svolgere ruolo di riferimento in campo educativo e culturale, essere punto di riferimento etico per una intera comunità professionale. Il tutto ovviamente attraverso meccanismi democratici (peraltro sanciti dalla nostra costituzione).

A leggere lo statuto della SOI, dopo le didascaliche buone intenzioni, nelle parti dedicate alla gestione (molto) politica della società, si snocciolano una serie di “doveri” dei soci e di “diritti” di Presidente e CD. Il risultato? Il socio più che iscritto ad una società scientifica sembra caduto in una rete di regole, alcune delle quali un po’ bizzare, come l’obbligo di informare gli organi della Associazione della propria partecipazione o iscrizione ad altra Associazione.

Come se non bastasse, talora Presidente e CD fanno ricorso ad estemporanei provvedimenti punitivi. Non hai approvato il bilancio? Non condividi il mio pensiero? Ed io ti sospendo.
Nasce così una nuova singolare categoria: il “socio sospeso”.

Che dalle nebulose pianure del nord ci si sia ispirati alla meridionale usanza del “caffè sospeso”? Questo ci farebbe ben sperare, visto che il caffè sospeso ha valenza di cortesia o di buon cuore.
Anche se… quando ad essere “sospesi” sono ben 500… che dire?

Ma coraggio ragazzi, è pronto per voi un bel programma di rieducazione e riabilitazione.
L’organo supremo ha disposto che vi sia data una possibilità: un bel corso con esame finale e sarete “riabilitati”. È gradito il saio ed il capo cosparso di cenere.

Vien da chiedersi come si sia arrivati a questo punto, quando abbiamo smesso di occuparci di scienza, quando i soci non sono stati più visti come una comunità e sono diventati un elettorato?

Abbiamo certamente commesso degli errori, ci siamo parecchio distratti ed abbiamo reso possibile la liceità di determinati comportamenti da parte degli organi direttivi della società.
E quanto è giusto adesso guardare altrove? Non è giusto affatto.

Giusto sarebbe ricondurre la SOI nel binario della correttezza e della legalità. Dove l’etica non è un enunciato personale ma un principio universale. Dove il buonsenso indichi la via della mediazione e dove il bene della intera comunità scientifica e professionale venga posto al di sopra di interessi personali e beghe di potere.
Quanto è ancora possibile?

Il Direttore
Antonio Rapisarda

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