(i) La creazione di nuovi software condivisi in sanità è ancora un terreno difficile. Gli adattamenti in sanità dei comuni software gestionali non hanno infatti dato i risultati sperati, le esperienze fatte sono differenti e con programmi che non dialogano fra loro. Infine vi è ancora difficoltà nella usabilità dei software di trasferimento e condivisione immagini unite alle stringhe di appartenenza. Ultimamente è stato fatto molto dalle ditte costruttrici di nuovi strumenti diagnostici, soprattutto dei nuovi OCT, ma solamente in loco a livello di personal computer o al massimo su reti locali intranet. La strada da percorrere è ancora lunga. E’ inoltre opinione abbastanza comune che per realizzare un software per qualsivoglia progetto basti dare ad un programmatore i requisiti voluti e questi dopo poco tempo venga da te con il risultato.
Non è così, come sanno bene validissime persone con cui ho lavorato e lavoro quali l’Ing. Aldo Torreggiani, l’Ing. Andrea Falco, l’Ing. Gianfranco Giardina, l’Ing. Paolo Melillo, l’IT Francesco Oggionni e l’IT Valerio Tartaglia.
Per ottenere un qualunque efficace servizio di e-health è necessario un lunghissimo lavoro di progettazione, costruzione e verifica tra medici, informatici e programmatori. Tutti questi attori devono lavorare insieme.

(ii) In ogni progetto occorre un notevolissimo sforzo organizzativo per disegnare il software, crearlo, modificarlo in base ai test, spiegarne le procedure e riunire i medici nei vari territori per l’avvio della fase pilota. E noi italiani non siamo portati per carattere ad un’attenta pianificazione che precede l’operatività.

(iii) Per quanto riguarda la burocrazia, i progetti sorti in rete negli anni scorsi erano spontanei; non erano richiesti particolari permessi, né lunghe procedure di privacy, né consensi specifici.
Ora è più difficile e, come sosteneva Costantino, anche la “giustizia creativa” ha il suo impatto sulla foresta inesplorata della telemedicina soprattutto in campo di responsabilità professionale.
Inoltre non esiste una normativa unificata per procedure di e-health, con la sola esclusione di realtà condivise in intranet solo in ambiti ristretti, come in poche aziende sanitarie. Vi hanno provato in molti in ambito governativo centrale, ma con poco successo. Esiste un unico codice italiano di autoregolamentazione della telemedicina dell’Avv. Paola Ferrari, e solo recentemente alcune linee di indirizzo e di sostenibilità governative. Attualmente è comunque difficile costruire saldamente un servizio pubblico o privato vero e proprio. Un esempio di difficoltà burocratiche? L’impossibilità di portare a termine un servizio di assistenza oftalmologica da remoto dall’Italia all’africa subsahariana, progetto richiestoci e iniziato in un Ministero a Roma ma mai decollato, nonostante i nostri sforzi ed una banda libera su satellite a disposizione.

(iv) Manca ancora a parer mio in medicina una idonea cultura “di rete” a causa di molteplici fattori tecnici e umani. Il successo di questi progetti è basato su partecipazione, responsabilità, trasparenza e voglia di effettiva collaborazione per approfondire le proprie conoscenze a beneficio proprio e dei pazienti. Manca anche una cultura di valutazione dei progetti di e-health in termini di accesso, accettabilità, qualità dei dati trasmessi ed efficacia medica. Un esempio fra tutti: dopo una iniziale valutazione di un progetto in rete per semplificare le procedure di accesso ai pazienti per le cure con iniezioni intravitreali al fine di facilitare l’integrazione ospedale-territorio, abbiamo poi scoperto che molti oculisti territoriali non hanno a disposizione internet negli ambulatori.

(v) I progetti integrati di e-health sono costosi e quando un team di medici e programmatori decide di attuare un progetto efficace (dal monitoraggio di pazienti anziani alla valutazione da remoto di una malattia oculare o neurochirurgica, da registri epidemiologici a second opinion, ecc.) si deve confrontare con studi di fattibilità e di valutazione tecnica-economica con delimitazione degli ambiti, priorità, linee di azione, strategie e modalità di lavoro. La maggior parte dei progetti di e-health in Italia, se non quasi tutti, trova risorse economiche dai pochi fondi di ricerca o da volonterose ditte farmaceutiche. Mancano quindi le basi dell’economia di scala (aumento della produzione e conseguente diminuzione dei costi) indispensabile per il decollo di ogni progetto. In sostanza, occorrono difficili business-plan che il medico, quasi sempre ideatore e promotore di un progetto, non può fare e valutare al meglio.